LE STAGIONI DEL CUORE


Ho sempre amato i banconi dei bar, che per me rappresentano quei luoghi magici dove puoi andare sola a bere un cocktail in pace pensando ai fatti tuoi, ho imparato ad andarci quando non avevo voglia di stare in casa, ma non volevo vedere nessuno che mi obbligasse a tenere in piedi una conversazione o che mi volesse fare una seduta psicoanalitica sul dolore e su come affrontarlo. La mia serata preferita è sempre stata il venerdì, il venerdì a Milano è speciale, inizia il weekend e gira un fermento contagioso, finisce la settimana lavorativa, il giorno dopo si dorme o si parte, tutti hanno voglia di uscire, divertirsi, andare a bere qualcosa per rilassarsi e scaricare il peso di giornate impegnative. Milano è una città dentro una metropoli, preserva luoghi meravigliosi per chi possiede gli occhi giusti per vedere, è riservata ma invitante, piena di colori in mezzo al suo grigio, una lavoratrice indefessa con tanta voglia di divertirsi. Ne puoi rimanere immediatamente affascinato, ma l’amerai per sempre solo se impari a conoscerla. Io andavo, mi sedevo, ordinavo e vedevo la serata prendere forma, le persone incontrarsi a gruppetti e uscire a coppie, altre che si erano date appuntamento e si capiva che stava iniziando il corteggiamento, mi piaceva essere lì, magari anche osservata con curiosità, avvicinata da qualcuno che voleva fare amicizia, non sono mai stata scortese, scuotevo la testa, no, non avevo voglia di parlare, ma sorridevo. Amo il super potere del sorriso, ti assolve da qualsiasi no, da ogni possibile rifiuto, puoi sorridere con gli occhi, con i gesti e con la delicatezza dei modi garbati, così anche il no più sgradito se espresso con il sorriso diventa lieve. Questa sera me ne sto seduta al bancone con il mio Martini davanti, tra non molto arriveranno i Colombo con Nives e Luciana, l’ultima della brigata e Angela, eternamente seguita dal ragioniere Nino Mandelli, l’appuntamento è per brindare al terzo negozio che domattina inaugureremo. Sono arrivata a sessantaquattro anni con orgogliosa fatica, dentro di me sento l’insieme di tante bellezze e nonostante i segni del tempo sul viso e nel cuore, non sono appassita, piuttosto rinata. Ho accettato di non essere più seduttiva, ma ogni tanto percepisco che qualcuno con un’anima particolare, riconosca la mia. Gli uomini oggi non apprezzano più la classe, l’eleganza o un bel viso, in questa società, dove la fisicità conta più della cultura, vengono valorizzate molto le donne insicure con il seno rifatto e poco le donne che il seno non lo vogliono mettere in mostra anche se l’hanno ancora bello. Io mi vedo con poche persone, trovarsi per una serata insieme a tante, le poche volte che capita, non vuole dire essere amici. Per me dopo tanti anni è arrivato il momento di stare bene, di cercare con ostinazione il modo per raggiungere questo stato, merito rispetto e lo esigo dai livelli più bassi fino ai più alti, ho scalato la mia montagna, ora è il momento di scendere a valle. Ieri ero giovane, oggi senza occhiali non vedo nulla e tanti amici non ci sono più. C’è stata la pandemia, c’è la guerra, da San Babila si arriva a Linate in quindici minuti, la gente mangia gli insetti e c’è la libertà di genere. Tutto ok, sono per il vivi e lascia vivere, mi ritiro nel mio mondo, quello della gente come me, che ancora sa distinguere ciò che è realmente da preservare, io comincio da me stessa, da quella che sono diventata. Si dice che tutto passa, ma non da dove e come, se dal cuore o dalla pelle o da quel vuoto che ti buca lo stomaco senza pietà e senza chiedere permesso, tutte le mattine quando apri gli occhi o la sera mentre cerchi di addormentarti. Passa, ma solo dopo averti cambiata, dopo che hai resistito e ce l’hai fatta, ma capita che in una qualsiasi giornata no, in un momento di crisi, in un attimo di debolezza, solo “quello” ti tornerà alla mente. Perché certe cose finiscono, ma altre trovano un posto dentro di te e lì restano silenti finché qualcosa non le risveglia. Sono proprio quelle giornate sbagliate a farlo, quei momenti di crisi, quegli attimi di debolezza, quando la pesantezza ha il sopravvento, è allora che ricordi e scavi nel tuo passato per farti del male e non puoi fare a meno di farlo, devi assolutamente, perché ricordare è il solo modo che esiste per imparare a convivere con la persona in cui ti sei trasformata. Nella mia vita è accaduto un evento, straordinario, inaspettato come una secchiata d’acqua gelida nella pancia,come uno schizzo di olio bollente negli occhi, una cosa inaccettabile, un dolore feroce, per il quale a volte mi sono chiesta come il mondo continuasse a girare e non si fosse fermato a piangere con me. A fermarmi sono stata io, a guardare mille volte quella me che se n’è andata per sempre. Succede che ad un certo punto della vita cambi tu , cambia tutto, tranne il cuore che in un modo o nell’altro va sempre in pezzi.
Fino ad oggi so di avere perso molte cose e persone preziose e in questo ho delle responsabilità, ma non delle colpe.L’errore più grave è stato lasciare molto di me attaccato a quelle cose e a quelle persone, avrei dovuto essere capace di trattenerlo e lasciare invece che tutto quello che aveva dovuto o voluto andarsene, andasse. I conti non si fanno con quello che perdi, ma con quello che resta, questo è quello che ho imparato nella difficoltà di vivere senza le persone importanti che non ci sono più, a contare gli anni dal momento di certe mancanze, a ricordare i fatti, gli avvenimenti e certi accadimenti, da prima o dopo quelle tristi date.
Per anni ho cercato pezzi di lui ovunque: scritti, biglietti dei treni, scatole di sigari, occhiali, vecchie foto e quando li trovavo li custodivo come tesori, addirittura credevo che fosse lui a farmeli trovare. Sentivo una vecchia canzone che alla radio era insolito facessero ascoltare e magari pensavo a quel viaggio in auto fatto di risate, cioccolatini e abbracci e allora immaginavo che quella canzone me l’avesse mandata lui dal suo universo parallelo. Mi piaceva pensare che funzionasse così, che se trovavo qualcosa o capitava qualcos’altro di inusuale, fosse stato lui a lasciarmela o a farlo capitare. Ci sono cose che non possiamo spiegare,appartenenze che non riusciamo a strappare, dolori che ci abiteranno per sempre, ma ci deve consolare che le cose infinite non finiscono,magari cambiano, sbiadiscono come le vecchie foto, ma a finire non ci riescono. Allora bisogna chiudere gli occhi e sentire che tutta questa nostalgia non è altro che una grande profonda bellezza. Dopo di lui, nessuno poteva essere lui, speciale come lui, ma non è vero che non voglio più un uomo accanto, non voglio accanto un uomo qualsiasi, perché io non sono una donna facilmente avvicinabile, sono gentile ma lontana, cortese ma imperscrutabile, sorridente ma immersa nel mio mondo interiore al quale nessuno può accedere. Ho messo un limite invalicabile, potrà alzare quella sbarra solo quell’uomo tanto intelligente da non volere prendere il posto di chi non c’è più, uno capace di crearsi il suo di spazio, di non essere geloso di una foto su un mobile o di un anello al dito, che sappia comprendere di essere giunto quando tutto questo esisteva già e che se ama me sappia che io sono la somma di tutto quello che ho vissuto. Non so separarmi in modo definitivo né dalle persone né dalle cose, dovevo eliminare un vecchio mobile, antico ma con nessuna pretesa di valore, da sempre nelle case abitate dai miei genitori e quindi anche da me. Lo volevo sostituire con un pezzo più utile, ma… c’è sempre un ma per me quando si tratta di qualcosa che è stato sotto i miei occhi tutta la vita, all’improvviso mi è sembrato di rivederlo nella casa di via Pola, con quella televisione sopra che trasmetteva solo due canali, poi nel salotto della casa dove andammo dopo, un attico elegante e via via in altre, sempre lì con noi, fedele, presente a fare il suo mestiere di mobile, ad assistere a tutti i nostri cambiamenti, alle morti e alle nascite. Allora mi sono voltata dalla sua parte e gli ho detto, no tu non finirai in una cantina polverosa dimenticato da tutti, come un anziano scomodo e indesiderato, tu starai con me e quando non ci sarò più, allora potrai anche diventare legna da ardere come io mi trasformerò in cenere e magari saremo lo stesso insieme. Per molti le cose di valore sono quelle che un valore l’hanno in termini di denaro, per me invece per quanto ne hanno dentro il mio cuore.
Sono così le stagioni del cuore, fatte di cose e persone che non ci sono più, dalle cose che quella volta avremmo potuto dirci e non ci siamo detti, da quei mattoni che sono diventati muri e poi si sono alzati fra noi e un amica. Le stagioni del cuore sono quelle giornate d’autunno con il vento e la luce negli occhi, quelle d’inverno fredde, dove una telefonata ti ha scaldato, quelle di primavera con il verde chiaro nei parchi e il tuo amato border colli che corre e quelle d’estate dove tutto quell’azzurro ti toglie il respiro.
Le stagioni del cuore le ho attraversate tutte, giorno dopo giorno e sono arrivata fino a qua, con le mie giornate buone e quelle difficili, dove mi sembra di non farcela e poi ce la faccio sempre e da sola, perché la mente all’improvviso si apre, intravedo un modo e da dentro arriva la forza. Le stagioni del cuore mi hanno cambiata e a volte io stessa non mi riconosco e quello specchio che rimanda la mia immagine è lo stesso che mi racconta una storia di vita fatta di amore, passioni, lavoro, viaggi e ritorni, cose perdute e altre lasciate andare, di gioie e di grandi dolori, di affetti importanti che mi sono restati accanto e di quelli che non contavano e che si sono allontanati.
Le stagioni del cuore sono dentro di me e forse non le vorrei neppure cambiare, perché poi non sarei diventata la persona che sono e io di come sono dentro sono molto contenta.
Stasera sono qui, davanti a un Martini, tra poco faremo il brindisi a un altro pezzetto di progetto che si sta realizzando, quasi non ci crediamo neanche noi, siamo felicemente stupite, ma con il primo negozio che ci aveva affittato Angela, abbiamo dato corso a una serie di piccoli successi e grandi soddisfazioni. La prima fra tutte è stata la mia, tante persone che mi avevano condannata con giudizi da tribunale dell’ inquisizione,sono entrate per curiosità, sono tornate per guardare meglio la merce in vendita e sono ritornate parecchie volte a comprare. Io a tutte canto la stessa canzone “le cose che per noi non vanno più bene, possono avere una nuova vita presso altri, vogliono rinascere come succede a noi quando ci reinventiamo. Proprio come me, si ricorda quando facevo l’antiquaria? Sì che se lo ricorda, veniva sempre da noi in Galleria…” Diventano rosse, poverine, si imbarazzo e allora io faccio una risata, prendo fuori dai cassetti una spilla vintage e dico”la provi, è bellissima, lei che frequenta solo persone importanti, avrà sicuramente molte occasioni giuste per indossarla”. Non venivano solo a comprare, ma anche a dare in conto vendita borse firmate, pellicce, vestiti di stilisti famosi, scarpe, cappotti, foulard e bijoux. Il nostro commercio funzionava sulla merce di cui ci rifornivano le persone che volevano venderla. Io la selezionavo accuratamente, ero esigente, no a cose di poco pregio o usurate, sceglievo e scartavo velocemente, i capi, se usati, dovevano esserci consegnati con la ricevuta della lavanderia, tutto veniva spolverato, nel caso anche disinfettato. Eravamo precise, molto attente e in breve si sparse la voce, perché da noi vennero tutti e le cose andavano tanto bene che decidemmo di aprire anche un altro negozio, ma in una zona diversa, più elegante. Abbiamo girato tanto, la sorte che ci prende spesso in giro, mi ha fatto arrivare di nuovo in via San Maurilio, affittavano un bel negozio niente da dire, loro se ne erano innamorate, ma io non ho voluto, mi sono opposta fermamente, nessuno poteva riportarmi dove già era rimasta un grande parte del mio cuore, ho detto no e per nessuna ragione cambierò idea. Più giù, dopo l’incrocio con via Santa Marta scorgevo le tre vetrine, il vecchio sogno era a cinquanta metri che mi guardava e il tempo per un attimo ha fatto una corsa all’indietro, per riportarmi in una frazione di secondo in un’altra vita. Figuriamoci se potevo pensare di tornare lì, ce ne hanno proposti altri così abbiamo scelto una location molto carina in una via elegante. Io e Angela nel primo negozio, la Colombo e Nives nel nuovo, Mario dava una mano se c’era bisogno, anche Nino, fedele amico di Angela ma ormai di tutte,fuori dall’orario di lavoro faceva la spola per ritirare la merce e spostarla da un negozio all’altro. Si vede che quei giretti gli piacevano molto, perché un giorno Angela venne a sapere che lui e Nives erano andati al cinema, me lo raccontò senza astio né rabbia,ma solo con malinconia “la voglio conoscere meglio”le aveva detto Nino. Le ho preso la mano e le ho detto che gli uomini come Nino alle donne come noi non servivano a nulla, che lui sarebbe sempre e solo rimasto un eterno indeciso, privo di coraggio, mentre noi quanto ne avevamo avuto? Era una donna intelligente Angela, ha lasciato che le cose andassero come dovevano e, come tutti ci aspettavamo, Nino rifece con Nives quello che aveva fatto con lei, con la differenza che a capirlo Nives ci mise molto meno tempo “amici come prima ma negozio a parte ognuno per la sua strada”. Non era mica Angela lei,era bastato un uomo nella sua vita indeciso tra lei e la moglie, questo per giunta era anche libero, per carità e così finì anche quella possibilità per Nino, che facendo finta di niente ricominciò a stare attorno ad Angela, ma lei fu molto chiara, se vuoi amicizia eccola, ma non dire cretinate per tenerti uno spiraglietto aperto, perché io ormai non sono più interessata a te, sono contenta della mia vita e sai cosa penso che non sono più io che devo cercare di piacere alle persone, ma loro a me.
Poi eccoci qui con altre novità ancora, apriamo domani il terzo negozio con capi solo da uomo, lo gestiranno Mario con Luciana, la prima lavorante che aveva assunto nel suo laboratorio, ormai in pensione. Mario, quando gli abbiamo proposto la cosa ha detto”ci sto, ma solo se con me viene la Luciana”. Ci litigava sempre all’epoca quando lavorava con loro, ma lei era la più brava, non c’era problema sui pellami che non sapesse risolvere, modello che non avesse l’abilità di ricavare o inventare. Quando Luciana venne a parlare con noi, i Colombo quasi stentarono a riconoscerla, aveva i capelli bianchi, era sciatta, trasandata, non andava bene per il nostro negozio, ma Mario prese in mano la situazione “cià Biancaneve, parrucchiere, solo taglio e piega, il bianco adesso fa chic, manicure, un bel vestitino e si ricomincia “. E così è iniziata l’avventura.
Sono qui che aspetto, loro sono in ritardo perché ci sarà traffico, allora da sola voglio brindare a tutti quegli amori che non sono stati per sempre, ma che sono sopravvissuti alla morte. Le persone che ci hanno lasciato sono ovunque, i miei genitori nelle tradizioni, nei valori e nell’educazione che mi hanno insegnato, lui in tutte le cose che mi ha fatto conoscere, nelle mie opinioni, nei miei gusti , in quello che mangio, nelle preghiere. È stato il solo che ha conosciuto tutti i miei pensieri, siamo stati sbagliati insieme, ma ora conta solo quello che è rimasto, lui è ancora nel mio sorriso come tutti coloro che ho amato.
Siete altrove, ma non ve ne siete mai andati

da “VIA SAN MAURILIO “racconti di Una Milanese Chic

-foto “Nel Cuore Di Milano di Alessandro Barberio”