IL POTERE DI UN SORRISO

Quando ero bambina amavo moltissimo giocare con  Barbie.

Avevo una miriade di abitini, tanti cuciti su misura di quei corpicini da mia nonna, contenuti in un vecchio contenitore del Dixan in polvere.

 Avevo la casa con l’ascensore, l’auto e persino il salone del parrucchiere. 

Sono stata una bimba fortunata, ed ora me ne rendo conto.

Senza averne coscienza, giocando per ore nei lunghi pomeriggi invernali dopo la scuola, ho scritto silenziosamente centinaia di storie.

Puntualmente, erano storie a lieto fine.

Con momenti di difficoltà, che, talvolta, sembravano essere sul punto di avere la meglio, sul finale avevano un epilogo di successo e, soprattutto, di grande amore.

In altre occasioni, erano quadretti di famiglie serene dedite alla cucina, a fare gite, a giocare con figli sorridenti e ben disposti agli insegnamenti dei genitori.

Nel mio cuore di preadolescente è così che immaginavo la mia vita adulta.

Come, credo, abbiamo fatto quasi tutte.

Devo dire che ci ho anche provato nella realtà a ricostruire quella che credevo fosse l’unico scenario per essere ‘ felice’ e soddisfatta di me.

Poi è andato tutto diversamente. 

Per molto tempo, l’ho vissuto come un’incredibile ingiustizia. 

Ci sono voluti lavoro, umiltà, confronto con persone di valore e di ispirazione, accettazione di me, per imparare che ogni cosa che non è andata secondo i piani mi ha insegnato qualcosa di fondamentale, mi ha permesso di conoscere aspetti di me che non avrei nemmeno sfiorato. E di valorizzarli.

Anche la scelta di essere un coach arriva da questo. 

Mettere a disposizione di qualcun altro quello che ho sulla pelle. Perché ne possa beneficiare in meno tempo e con meno dolore di quanto ho fatto io.

Poche sere fa ho salutato, a fine di percorso comune, un gruppo di persone speciali, ripercorrendo la mia storia.

Ascoltandomi, guardando i loro occhi, ho rivisto passi fatti, notti in bianco, dubbi da esplorare, volontà,  partenze e arresti.

E la scoperta delle piccole cose.

Ieri sera, come spesso capita nella vita di una donna che lavora tanto, senza orari,  e che ha una vita piena, sono entrata al supermercato all’alba delle dieci di sera.

Pochi i presenti che si aggiravano tra le corsie. 

In cassa, come faccio sempre, sorrido e scambio due parole con la ragazza che mi fa il conto.

Lei mi sorride a sua volta e mi di dice che è bello trovare qualcuno con cui farlo a quell’ora. Dopo una giornata faticosa.

Mi si riempie il cuore. 

Sono stanca anch’io.  E non solo nel corpo. 

Ma questo mi ricorda cosa intendo per scegliere sempre la bellezza. Sorrido. Lo faccio nei momenti di gioia e anche  quando sento il buio cercare di avvolgermi.

E non perche voglia fare ‘ bella figura’.

Sorrido perché farlo mi ha salvata tante volte dalla meschinità,  dalla miserevolezza. Dall’arrendermi. Dal pensare di non avere alternative.

A volte, tante a dire il vero, è stato un valore  anche per chi ne è stato destinatario.

Ho salutato la giovane cassiera e sono uscita con le mie due borse di spesa e le chiavi della macchina in mano. Quasi un po’ saltellando. Ho accesso la radio e ho cantato. 

Non ho risolto alcuni problemi che sto affrontando. E, tantomeno, i suoi.

Ma entrambe abbiamo avuto un momento migliore.

Il potere delle piccole cose.

Quando non vuoi più tingerti i capelli

C’è un passo importante che molte donne compiono con disinvoltura e altre non si decideranno mai a fare: smettere di tingersi i capelli. Io non l’ho ancora fatto perché non possiedo un bianco uniforme, piuttosto ho un’alternanza tra zone bianche e zone nere da farmi assomigliare a una “mucca pezzata”. Quindi dovrei ugualmente avvalermi di tinte o riflessanti per perdere quell’aria di trasandatezza che hanno i capelli quando appaiono così. Tuttavia è un passo che non mi spaventa, anzi mi attrae e sicuramente se continuerò ancora per qualche tempo a tingermi i capelli non sarà sicuramente per nascondere l’età. Gli anni che abbiamo non sono dei nemici, ma trattandoli con il rispetto che meritano diventano alleati. Una donna che si comporta di fronte alla sua età con disinvoltura e naturalezza, ha la grandissima soddisfazione di essere considerata interessante e affascinante al di là dell’estetica. A farla distinguere sarà la sua capacità di accettarsi per chi è e la dignità di saper affrontare ogni ciclo della vita con la modalità adeguata. É la capacità di non farsi condizionare che regala fascino, sono i condizionamenti a negarlo.

-foto da Pinterest-

Romana

ROMANA

“ Mia madre “faceva la vita”, non sapeva chi fosse mio padre perché sono stata un inciampo sul lavoro, nonostante tutto causa una malattia, ha preferito non abortire e farmi nascere, senza neppure immaginarsi quanto sarebbe stata dura per lei avere una figlia. Così a due anni mi ha messa in un istituto condotto da suore, definirlo spartano mi sembra riduttivo,le più fortunate avevano le scarpe , quando quelle con cui sono arrivata mi sono diventate piccole,ai piedi mi hanno messo delle grandi pantofole di feltro,di qualche suora, legate con dello spago. Il cibo era immangiabile, ma soprattutto ,eravamo al nord, si gelava al punto che la notte mi infilavo sotto al materasso. Mia madre non pagava nessuna retta o contributo, così per guadagnarmi pane e istruzione io e altre due nella mia identica situazione, avevo sei anni e non ci arrivavo,stavamo in piedi su degli sgabelli,lavavamo  piatti e pentole, oppure a ginocchioni pulivamo tutti i pavimenti.La mamma venne i primi tempi, poi non la vidi più per anni, mi abituai anche a questo, solo alle parole su di lei delle suore non riuscivo a non fare caso, mi trafiggevano come spade e in cuor mio la difendevo sebbene mi avesse abbandonata. Avevo dieci anni quando un giorno la Madre Superiora mi chiamò,lei era severa ma non cattiva,per dirmi di preparare le mie cose. Le mie cose? Non avevo niente, forse due grembiuli strappati , un paio di calzerotti e due di mutande… ma quando mi presentai con il mio misero fagotto in cortile c’erano la mamma, un signore e una bambina che avrà avuto circa due anni che mi attendevano. Una storia banale, ma accaduta veramente,un “cliente” si era innamorato della mamma, l’aveva tolta dalla strada, sposata ed era nata una bambina, ma lei non si era sentita di negarmi la possibilità di una famiglia , coraggiosamente, aveva confessato al marito di avere un’altra figlia in istituto.  Nessuno sgomento o recriminazione da parte di colui che diventò il mio babbo, mi vennero a prendere e per tutta la vita, lui è stato mio padre e io sua figlia. Sono stata una ragazzina irrequieta, ho dato solo problemi a chi mi ha accolta come una figlia, entravo nei negozi e rubavo, ero considerata una facile,perché andavo con un sacco di ragazzi e dopo anni di litigi, decisi di andarmene di casa per fare quello che volevo, dicendo a mia madre cose orribili e al mio babbo che mi adorava, che tanto lui non era mio padre. Mi trasferii in una grande città del nord e siccome ero anche piuttosto bella, entrai subito nel giro delle feste, dei locali e di tutto quello che di sbagliato poteva esserci. Feci lo stesso lavoro di mio madre, ma in modo diverso, a chiamata non come lei in mezzo alla strada e se la forma era diversa, la sostanza era identica, ero una prostituta. Avevo bei vestiti, vivevo in una casa decente, i miei clienti non erano i camionisti che si fermavano da mia madre, ma industriali e professionisti, però ebbi anche io il mio inciampo sul lavoro , anche io rimasi incinta. Non chiedetemi perché feci nascere quella bambina, oggi ringrazio il cielo di averlo fatto,ma siccome avevo deciso di rinunciare a lei e di darla in affidamento, la partorii e la vidi solo per un attimo, poi la portarono via. Io lo strappo l’ho sentito, ma mi sono detta ce la farà come ce l’ho fatta io, si sopravvive a tutto, meglio con una buona famiglia che con me. Seguirono anni di grande sbando,bevevo,ero diventata la donna di uno che aveva traffici molto loschi, passavamo tutta la notte nei locali, oppure lui mi”prestava”a qualcuno a cui doveva dei favori e io non potevo certamente rifiutare, fin quando una mattina suonarono alla porta e ci arrestarono tutti e due, in realtà io non ero né colpevole né implicata, ma ci vollero tempo, avvocati e denaro per riuscire a dimostrarlo e uscire di prigione. Chi pensò a tutto furono il babbo e la mamma,che non si arresero, che lottarono con me e per me e fu lì che capii che se fossi riuscita a cavarmela, la mia vita doveva cambiare. Avevo quarant’anni, mia figlia doveva averne dodici, ma non sapevo dove era né con chi, con il babbo facemmo tante ricerche, ma la legge era chiara in merito, davanti a noi c’era solo il foglio con la mia firma alla rinuncia della bambina. Fu in quegli anni che conobbi mio marito, un uomo molto buono, molto stimato e benestante, ma anche molto malato, colpito da un rarissimo morbo che gli impediva la mobilità delle ossa e delle giunture, certamente non un matrimonio che feci per amore o per passione, ma anche se sono stata una donna da poco, il sentimento che ho avuto per lui è sempre stato di profondo affetto, totale sincerità e grande rispetto. Con lui ho vissuto per trenta anni, mi ha introdotto nell’alta società come se io fossi una regina, senza vergogna, ma con molta sicurezza e serenità, mi ha ricostruita come donna, mi ha aiutata nel difficile recupero della mia dignità, mentre io l’ho accudito, aiutato e supportato senza risparmiarmi nei momenti di crisi della malattia. Ho avuto tutto da lui, case, vacanze ,gioielli , rispettabilità, amore e la certezza che capisse sempre tutto senza che io parlassi. Avevo tutto, ma non mia figlia, era diventato un chiodo fisso, guardavo le donne che potevano avere la sua età e cercavo d’immaginarmi lei, a volte mi fissavo su una persona e dicevo è lei, è lei, me lo sento, non assomiglia ai genitori, è stata adottata. Fu quando andammo a trascorrere una settimana in una località termale che avvenne tutto. Ora mi fermo, perché certe cose avvengono nei film, ma forse proprio perché la mia vita è stata un film a me questo è accaduto veramente. Un pomeriggio mio marito mi propose di prendere un caffè in una saletta appartata dell’hotel, mi condusse lì e poi si allontanò con la sua andatura traballante con una scusa, al suo posto torno una donna molto carina, poteva avere trentacinque anni, minuta e con gli occhi verdi, anche io ho gli occhi verdi . Mi guardò e mi disse solo “buonasera, io sono sua figlia, se crede possiamo darci del tu e magari anche abbracciarci “…

Per anni mio marito tramite avvocati, investigatori e pagando mezzo mondo l’ha cercata e alla fine l’ha trovata. Mia figlia che sapeva di essere stata adottata , già sposata e con due figli, era felicissima di conoscermi, non mi odiava, non era arrabbiata con me, ma mi ringraziava di avermi affidata a una brava e buona famiglia per darle un’infanzia e una vita serena. Seguirono baci, lacrime e anche un mio lieve malore, un’emozione così forte credo l’abbiano provata in pochi. Ora sono vedova da due anni, mia figlia, i suoi genitori e la sua famiglia, sono diventati la mia famiglia, sono stata accolta da tutti senza giudizi e gelosie, lei chiama mamma la sua madre adottiva e me per nome e io credo sia giusto così. L’altra sera, mentre dopo cena, mi aiutava in cucina mi ha detto”mamma, passami quei piatti”e a me sono caduti tutti. Quel “mamma”è stato troppo anche per una come me che ne ha viste di tutti i colori “ Mi spiace se il racconto è stato lungo, ma una vita così non si può riassumere in poche righe

Una Milanesechic

Foto dal giornale Elle

Tu festeggi Halloween?

Premetto che non mi piace Halloween e ne concepisco i festeggiamenti se hai una età compresa fra i 6 e i 14 anni . Non mi appartiene come storia né come tradizione ed essendo cattolica praticante non condivido la simbologia di cui è fatta la festa, inoltre devo aggiungere che quelli della mia generazione, non sono mai andati vestiti da fantasmi di casa in casa a chiedere dolcetti, non ce lo avrebbero neppure permesso, non abbiamo comprato ragnatele finte, teschi e zucche, non abbiamo mangiato biscotti alla zucca e per le vacanze di Ognissanti che precedevano la più triste del 2 novembre, il dolce era il Pan dei Morti. Per ristoranti e negozi credo che cavalcare l’onda, se questo fa bene al commercio soprattutto in tempi come questi , sia un modo come un altro per promuovere l’attività ma, per quanto mi riguarda, mi piacerebbe molto di più che ci fosse una data per festeggiare qualcosa che ci appartiene di più ad esempio una cosa banale ed inutile come il Rinascimento….lì poche zucche, solo arte.

Foto da Pinterest

Nutrendosi di buone energie

Credo come tutti,  nella  vita ho avuto varie fasi legate alla tavola.Sono stata una bambina inappetente.Nelle notti di particolare agitazione, tra i miei incubi c’è ancora la maestra Cristina dell’asilo che mi intima di stare seduta sulla seggiolina davanti a lei, mentre, severa, cerca di imboccarmi , a viva forza, di penne scotte al sugo ( passati 40 anni  non sopporto tutt’ora le penne lisce). Oggi sarebbe un episodio non tollerato e l’asilo, oggi scuola materna,  sarebbe oggetto di una verifica circa il sistema educativo.  Ma erano gli anni ‘ 70. Ed io odiavo essere obbligata a mangiare. Così è stato fino alla mia adolescenza, quando, presa coscienza di non essere più quella bambina introversa e con lo sguardo fisso a terra con cui nessuno voleva giocare, mi sono trovata ad essere una ragazza dall’aspetto piacente e dagli occhi vispi e accesi di curiosità verso il mondo che bramavo di conoscere. I sapori,  la voglia di sperimentare è arrivata al mio stomaco, il nostro secondo cervello. Ero vorace di tutto, un po’ paffuta, ma potevo dare la colpa agli ormoni che facevamo capolino nel mio corpo in evoluzione.  Così, il rapporto con il nutrirmi ha accompagnato le fasi della mia vita. Seguendo le fasi di felicità e quelle di maggior sofferenza. In alcuni momenti ho ritenuto di farmi aiutare a guardare questo rapporto per non diventarne parte passiva. Di fatto, il cibo è energia.  Lo possiamo vedere concretamente ogni giorno. Così come è importante l’energia che portiamo a noi nelle attività che svolgiamo,  nelle frequentazioni, nella qualita’ dei nostri pensieri,  altrettanto importante è l’energia che introduciamo attraverso il cibo.  Avete fatto caso come cambia l’appetito,  la digestione, e la piacevolezza,  in base alle persone con cui stiamo dividendo un pasto?

A tavola con altri scambiamo energie, in modo primordiale.

Ricordo un uomo con cui avevo una relazione che, immancabilmente e senza chiedermene il permesso, ‘ pescava’ dal mio piatto. Io mi innervosivo tantissimo e non ne capivo il perché.  Cercavo di convincermi che fosse un atto di confidenza e complicità.  No, semplicemente ‘ sottraeva’, senza grazia, le mie energie. La relazione finl’ ed io cominciai ad osservare il comportamento di un uomo seduto a tavola con me con grande attenzione. 

Si, il cibo è un grande contributo alla qualità e al livello della nostra energia. È importante osservare, senza giudizio, il rapporto che intratteniamo con il nutrirci.  E non è un fatto di peso. Energia.  Cura. Selezione di cosa è buono per noi.

Ho cenato in un posto molto carino a Milano ieri.  

Il dolce era una torta al cioccolato pazzesca.

Croccante al primo morso, un’esplosione di scioglievolezza all’interno. Pasta salata in superficie, il cioccolato dolce,  ma non stucchevole, in seconda battuta ( lo so che vi si sono attivate le papille gustative…)

Istintivamente ho pensato che quell ‘ equilbrio perfetto è lo stesso che mi fa dire che una relazione mi fa stare bene

Ho chiesto che nome avesse quella squisitezza. 

‘ Torta al cioccolato ‘ è stata la risposta.Semplicemente torta al cioccolato.  Così come semplici solo le cose quando siamo a nostro agio.

Foto da Pinterest

Il tempo

Questa parola che usiamo così spesso.

‘ Non c’è tempo’, ‘ C’è un tempo per tutto…’, ‘ Quando avrò tempo’…

Personalmente ho cominciato a farci i conti pochi anni fa, accorgendomi che la mia vita cominciava a contenere una quantità di ‘epoche’ diverse tra loro ed un’intensita’ compatibili con un ‘tempo’ di esistenza via via più importante. 

Una delle lezioni più vere,  concrete che ho imparato è che il tempo è una delle risorse limitate che abbiamo.  L’altra è la nostra energia,  a mio avviso. 

A volte questa consapevolezza mi spaventa,  suona come un countdown.

Altre mi è di sprone. Se è una quantità limitata non posso sprecarlo. Devo usarlo spendendolo con avvedutezza.

E, allora, mentre scrivo questo pezzo da condividere con voi tornando da Rimini dove ero, fino a poche ore fa, per un weekend di formazione ( perché credo che il tempo per imparare sia sempre un tempo prezioso, qualunque sia la materia,  qualunque sia la nostra età) sento che…

C’è un tempo per correre, per costruire, per usare forza e determinazione.  Si tratti di una carriera. Di una famiglia. Din una casa. Di un progetto. Della persona che vogliamo essere.

C’è un tempo per fermarsi, per aspettare o aspettarci.  Sapendo che il tempo di sosta non è un tempo di ‘ vuoto’. Banalmente,  mentre noi siamo ‘fermi’ a leggere un libro le nostre cellule si rinnovano,  il cuore pompa sangue. Il respiro ci tiene in vita. Le sinapsi generano nuovi pensieri . I capelli crescono.  I ricordi trovano un loro spazio e si radicano. Le ferite cicatrizzano. Siano esse fisiche o emotive. 

Quindi di tutto si tratta, ma non di un tempo non generativo.

C’è un tempo per restare. Ed uno per andare via. E siamo solo noi a conoscere e riconoscere, l’uno e l’altro.  

C’è un tempo per dare spiegazioni ed uno dove il silenzio è l’unica risposta possibile.

C’è un tempo per essere felici. Quasi da poterla toccare questa felicità. Ed un tempo  in cui comprendi che essere felici sempre non solo non è possibile. Ma non è neanche necessario. 

C’è un tempo del dolore.  Da accogliere e tenere al sicuro. Che, a negarlo, non può svolgere la sua funzione . E non può che restarci addosso come un mal di denti malamente curato, che a tratti sembra essere meno pungente. Ma che, se non lo riconosci e curi, si ripresenta, diventando sofferenza. 

Credo, poi, ci sia un tempo, personalissimo, in cui, semplicemente, alzarsi e dirsi che, qualunque sia la nostra storia, abbiamo fatto del nostro meglio e possiamo andare oltre.

Con questa riflessione di valorizzazione delle nostre storie e di quello che ancora abbiamo da dare al nostro tempo, inizio la settimana. Pensando che ci riguardi davvero tutte e tutti. 

Buon lunedì!

Le Milanesi

Le milanesi hanno un loro particolare concetto dell’eleganza e nonostante vivano in una delle prime tre capitali della moda, non amano particolarmente le griffe, più precisamente intese come iniziali, loghi, ostentazione di un top di gamma sinceramente oltre che un po’ noioso anche impersonale . Il loro stile prevede di poter mischiare il cappotto cammello e il maglioncino di cachemire purissimo comprato nel mercato di Forte dei Marmi, con il pantalone di Zara , la borsa a tracolla vintage e il mocassino fatto a mano o di Hermes , capovolgi i capi come vuoi ma il risultato è che la griffe serve per la qualità ma deve apparire poco . Gradite le boutique che sdoganano gli emergenti , che vendono marchi non conosciuti da mixare con un cappotto e accessori vintage oppure con una borsa di gran classe come ad esempio la Kelly o la Birkin . La parola d’ordine è quindi non apparire per ciò che puoi comprare , ma piacere per il tuo stile personale , lasciando al provincialismo quel target che vuole sempre e solo etichettare chi può da chi non può .

-foto da Pinterest-

Consapevolezza e classe

Per me conta poco non essere più bella, ora preferisco,se riesco, risultare affascinante. Non m’interessa più comprare dieci vestiti, ma selezionare quelli che rispecchiano il mio stile e lo sanno valorizzare.
Con l’età la mia vanità nel rapporto con gli uomini, ha lasciato spazio alle amicizie che con loro ho saputo creare. Non mi sono mai piaciute le donne appariscenti, quelle che vogliono essere notate, figuriamoci ora, certamente anche alla mia età si può emergere, ma bisogna farlo con naturalezza e semplicità . Mi sono chiamata fuori da tutto, non sono mai stata una presenzialista, lo trovo un atteggiamento dozzinale e provinciale, vado in pochi posti dove la mia presenza è desiderata e notata. Non è più tanto facile calare di peso ed essere magra, allora forse è meglio adottare soltanto una dieta sana e cercare di essere ancora eleganti nel portamento, solari ed armoniose.
Non sono mai stata perfetta, ma sempre inconfondibile, oggi per me conta essere una donna completa e affermare il mio stile che è personale, come quello che tutte dovremmo avere e che ci rende inimitabili e uniche. Ho sempre cercato di non rincorrere nessuno, non sempre mi è riuscito, ma ora mi interessa solo chi si ferma ad aspettarmi, chi mi vuole bene e tutti i giorni me lo dimostra a fatti, perché le parole lasciano il tempo che trovano. Non rimpiango più di tanto la giovinezza, l’ho già avuta e l’ho vissuta come ho voluto, ora è tempo di nuove cose in una età diversa che voglio indossare con consapevolezza e classe.

Il regalo che dice sto bene con te

Regalate una morbida coperta a una persona alla quale volete bene, sarà un dono affettuosamente speciale e anche un po’ intimo, un modo per dire che le prossime fredde serate le volete trascorrere insieme. Quando mi sono sposata due anni fa, ho ricevuto due coperte di cachemire con ricamate splendide rose. A parte che a donarmele sono stati gli amici di una vita, riposare al pomeriggio o stare sul divano a lavorare sotto una di quelle deliziose copertine, mi regala una sensazione di raccolta serenità che amo condividere con mio marito. Vi suggerisco un regalo di questo tipo, a Natale, al vostro migliore amico, compagno o fidanzato, sarà un modo di dire ti voglio bene. Può essere in un materiale pregiato, ma anche in lana cotta o pile, purché la personalizziate facendo ricamare le iniziale, un logo che abbia una valenza, qualcosa che in qualche modo vi leghi e imprima il giusto significato a un dono che si comprenda sia stato pensato e preparato con affetto o amore.

Ricevere è uno stile di vita

Gli spaghetti sono uno stile di vita, soprattutto quando te li cucina chi li sa fare, così come il Martini Cocktail, il riso giallo, i formaggi accompagnati da marmellate particolari, il gelato artigianale , la gentilezza e l’educazione. Se quello stile non è il tuo, se non sei ospitale o gentile perché non è insita in te l’empatia verso gli altri, se non sai mangiare e peggio ancora non sai bere, non sai vivere bene e chi non vive bene è una compagnia non all’altezza per chi gli sta accanto. Cose semplici per inviti semplici ma raffinati, non offrite tante cose, preparatene poche , curate e di qualità e servite in modo perfetto e gentile.

-foto da Pinterest-