CI SONO SCARPE CHE CAMBIANO LA VITA


“Noi di sbagli ce ne siamo perdonati tanti, scappatelle senza importanza le sue, troppo impegno rivolto al lavoro che ha tolto tempo a lui e alla nostra vita di coppia, io. Mio marito non è mai stato un grande lavoratore, quel tanto che bastava in un impiego senza visioni di carriera, alle cinque del pomeriggio a casa, il giovedì la partita di calcetto e la pizza con i suoi amici e la domenica lo stadio. Io, nata in una famiglia con il pallino del lavoro e cresciuta con l’insegnamento che prima di ogni divertimento e tempo libero esisteva la nostra attività, cioè i cinque negozi di scarpe tra la città e la provincia, tornavo a casa anche alle 21. Mi organizzavo,la cena che era già stata preparata da me o dalla signora che si occupava della casa, era solo da riscaldare, la tavola era ben apparecchiata, la casa riuscivamo a tenerla più che in ordine, le camicie di mio marito erano stirate nei cassetti, ma io lo ammetto, c’ero poco. Negli anni qualche segnale di scappatelle lo avevo intuito, sono una persona diretta e per mia natura devo sapere la verità, lui messo di fronte alla domanda precisa, la buttava in ridere, ma dai, ma anche fosse cosa vuoi che conti una scemata, piuttosto non tornare tardi anche stasera, ricordati che hai un marito. Oggi mi risuonano nelle orecchie queste parole come una responsabilità disattesa, una promessa non mantenuta, un errore che ho perpetuato a mio danno, un senso di
colpa verso me stessa, più che nei confronti di un uomo che a conti fatti, non si è certamente
fatto grandi scrupoli. Avevamo una bella casa, bei mobili, due automobili , gli avevo regalato la moto dei suoi sogni, facevamo vacanze nei posti dove lui desiderava andare, abbiamo visto il mondo è tutto questo grazie al mio lavoro, che ci dava un benessere che diversamente non avremmo avuto, sicuramente non con due normali stipendi . A mio marito il lusso piaceva molto, mentre a me più che quello interessava il mio lavoro, l’azienda che mio padre aveva creato con tanto sacrificio e della quale io ero l’unica erede. Non avevamo figli, prima non li abbiamo voluti poi quando abbiamo iniziato a cercarli non sono arrivati, non ci sono ragioni particolari mi disse lo specialista a cui ci eravamo rivolti, a volte bastano la serenità, i tempi giusti, voi siete a posto . Sbaglio a dire non ne abbiamo avuti, perché solo io non li ho avuti e questo mi si è reso chiaro un giorno che ero nel negozio in cui trattavamo le scarpe da bambino. Entrò una donna circa della mia età, io all’epoca avevo quarant’anni tondi, tenendo per mano un bambino che avrà avuto circa nove anni, disse che doveva comprargli delle scarpe per il giorno della prima Comunione. Che numero porta suo figlio, chiesi , già voltata a selezionare quello che mi sembrava più adatto, lo chieda a suo marito, lui lo conosce molto bene . La risposta mi arrivò come una pugnalata, ma mai come quando mi feriscono a tradimento ,riesco a rimanere presente e lucida. Ci siamo guardate, ho visto una donna offesa, esasperata, illusa e disillusa al tempo stesso, ho visto il desiderio di ferire perché era ferita. Andate fuori ho detto, mamma non mi compri le scarpe piagnucolava il bambino,mentre io ero furibonda con mio marito , non con quella donna che era venuta a giocarsi la vita, l’ultima disperata mossa per cercare di tenersi un uomo, per prendersi una vita che non riusciva ad ottenere diversamente, se non costringendolo davanti al fatto compiuto, la verità detta a me, buttata in faccia a chi non aveva colpe se non quella di avere sposato un imbecille privo di valori . A quel fatto seguirono giorni difficili, scene pietose, minacce e preghiere fatte da un uomo che non voleva andarsene, che mi accusava di averlo lasciato troppo solo, che diceva di amarmi e che non si rendeva conto di avere un figlio di nove anni che da lui si aspettava di ricevere quello che qualsiasi bambino ha diritto di avere . Lui non voleva andarsene, voleva stare dov’erano “la sua casa e sua moglie”, la sua famiglia ero io continuava a dire e per me invece, lui non era più niente, un uomo che preferiva abbandonare suo figlio per non perdere il benessere . Alla fine con un buon avvocato, mi sono liberata di lui, benché fossero cose intestate a me gli ho lasciato la macchina la moto e tante altre cose, potevo non farlo ma l’ho fatto. Sono passati quindici anni io ho un nuovo compagno, un grande lavoratore come me , tre negozi li ho dovuto chiudere per la crisi, lui mi ha aiutata ed ora ne ho solo due, mi avvalgo della sua professionalità artigianale per produrre una linea nostra. Siamo felici, quando fa tardi o lo faccio io, diciamo, pizza ? Ho divorziato, ma non mi risposerò più, non sono scottata, sono delusa e non voglio legarmi formalmente a nessuno. Voglio accanto una persona che torni da me solo perché ne ha voglia, non voglio prendere nulla a nessuno , ma neppure dare. Insieme ma divisi . È il mio modo per difendermi.

PASQUALINA

Il babbo era partito due anni prima, quando ci scriveva o le rare volte che siamo riusciti a parlargli dal telefono pubblico del paese, diceva solo che c’erano tanto freddo e nebbia. Il giorno che l’abbiamo raggiunto, è stato quello più faticoso della mia vita, il viaggio non finiva mai e non è vero che i meridionali arrivavano al nord con una valigia di cartone, perché noi non avevamo neanche quella, soli i vestiti che indossavamo e una specie di grande fagotto che portava mio fratello maggiore, con dentro qualche altro indumento, ma poca roba. Sembra impossibile oggi, ma non era la preistoria, nossignori era la fine degli anni 50 e se per qualcuno sono stati quelli del boom, noi invece avevamo fame. Se mi chiedete cosa mi ricordo della mia infanzia io vi dico la fame, avevo sempre fame,qualche volta la mamma mi dava anche un po’ del suo cibo, ma io non volevo il suo, insomma mi sembrava una cosa brutta perché se io che ero piccola avevo tanta fame, lei che era grande doveva averne anche di più. La prima caramella l’ho mangiata in terza elementare, me l’ha data la maestra Paola, alla quale devo tanto. Quando arrivammo nella importante città del nord dove c’era la fabbrica che aveva assunto il babbo, ci sistemammo non proprio in un appartamento nostro, ma in una specie di grande stanzone dove stava anche un’altra famiglia, ci divideva una tenda, ma praticamente eravamo tutti insieme e per andare in bagno, bisognava andare in un corridoio esterno. Un giorno la maestra mi chiamò da una parte e mi fece tante domande, io mi ero accorta che lei mi guardava spesso, che mi vedeva tirare fuori la mia fetta di pane con niente, ricordo che una volta una mia compagna di classe mi diede due fette del salame che era dentro il suo panino, la mia sensazione fu che la nostra povertà fosse nota a tutti. La mamma di un’altra bambina mi portò due magliette di lana e io le portai a casa felice, un’altra mi diede due banane, poi fu la volta di un bel pezzo di formaggio. Non è vero che i meridionali sono orgogliosi e non accettano gli aiuti, noi li accettammo eccome, la maestra venne dove abitavamo, si rese conto della situazione, in che luogo malsano abitassimo, in quale forma di indigenza vivessimo e oltre a tornare portandoci frutta e una bella pentola con dello spezzatino, mise in moto la macchina della solidarietà. Si mise in contatto con delle signore della sua parrocchia e la mamma trovò lavoro come donna delle pulizie in una famiglia dove la trattarono sempre molto bene, mio fratello quando finì con grande fatica, diciamolo,  le medie fu sistemato come garzone di bottega in una grossa rivendita di dolciumi e liquori, che trent’anni dopo fu lui a rilevare. Ci trovarono un piccolo appartamento con il bagno,aveva i muri un po’ scrostati e solo due camere, ma a noi andava benissimo. Il boom era arrivato anche per noi, che siamo rimasti una famiglia semplice e certamente non ricca , ma ognuno di noi ha trovato una buona sistemazione, si è creato il suo posto di persona onesta nella società, il babbo non è riuscito a realizzare il suo sogno di comprarsi una casa, ma noi figli sì e credo che lui da dove è ora ne sia molto felice. Non vi ho raccontato una storia di amore travagliato o quella di un tradimento, ma solo la mia, quella di una bambina che la prima caramella l’ha mangiata in terza elementare.”

Gemelle in tutto

Io e la mia sorella gemella siamo sempre andate d’accordo, gemelle per modo di dire, lei molto bella, io non brutta, ma neanche come lei, insomma tutte le volte le persone dicevano”ah siete gemelle…”una meraviglia che sottolineava la differenza eclatante tra la sua bellezza e la mia . Però noi siamo sempre state unite, lei era affettuosa, ci rideva sul fatto di essere bella, mi accarezzava e diceva”se ti guardassero come ti guardo io, scoprirebbero che la più bella sei tu”e io non ero gelosa e invidiosa perché le ho sempre voluto molto bene. All’università abbiamo conosciuto un ragazzo, per me amore a prima vista e anche per lui, ma per mia sorella. Si fidanzarono e sposarono appena ci laureammo tutti e tre, poi loro partirono per il viaggio di nozze e io che ero stata assunta da un’azienda francese, fui mandata per due anni a Parigi. Per me fu un bene, innamorata com’ero del marito di mia sorella, meno lo vedevo meglio stavo, ma questo senso di liberazione che provavo stando lontana da  lei, mi faceva sentire in colpa, perché chi sbagliava tutto ero io che non riuscivo a togliermi dalla testa l’uomo sbagliato. Tornai a casa definitivamente due anni dopo ed ero molto diversa, ero diventata elegante, chic, cambiato taglio e colore di capelli, ma soprattutto avevo acquisito una sicurezza e un’indipendenza che facevano di me una donna affascinante. Con mia sorella si ristabilì il vecchio legame di affetto e intesa, loro abitavano nella vecchia casa di famiglia nel centro della città, con i nostri genitori. Quella casa l’abbiamo sempre amata molto, ci abbiamo abitato con i nonni quando eravamo bambine, era grande su due piani con un bel giardino, una vecchia villetta che per tacito accordo abbiamo sempre saputo che, anche da sposate e con nuove famiglie , sarebbe rimasta la casa di tutte e due. Mi ero accorta che mio cognato mi guardava spesso, che mi sorrideva quando arrivavo a tavola alla sera e mio padre brontolava perché ero in ritardo, che mi metteva lo zucchero nel caffè senza chiedermi quanti cucchiaini volessi e mi stupivano certi gesti come sfiorarmi i capelli passando dietro al divano dove ero seduta o accarezzare il mio cappotto sulla sedia. Io uscivo con altri uomini, ma silenziosamente amavo sempre lui, l’unico inaccessibile, l’amore impossibile per eccellenza. Passarono gli anni loro ebbero due figli che oggi sono entrambi sposati e li hanno resi nonni, i miei genitori a distanza di un anno l’uno dall’altra, morirono e io continuai con il mio lavoro facendo una bella carriera, ma senza crearmi una famiglia mia. Avevo delle storie, ho avuto anche un fidanzamento più serio e lungo, ma non volevo sposarmi, non sentivo l’esigenza di crearmi una famiglia, mi bastava l’affetto di mia sorella, quello dei miei nipoti che per me sono stati dei figli, ma soprattutto a impedirmelo era una sola verità :amavo mio cognato e nel tempo capii che anche lui mi amava. Ce lo dicevamo con gli occhi cento volte in un giorno, ogni gesto che lui faceva era mirato a dimostrarmelo, ma è sempre rimasto un rapporto platonico e mai dichiarato. Fino a quando un giorno rimanemmo da soli nella casa al mare, mia sorella, partita alla mattina per una visita medica in città doveva rientrare in serata, ma per un problema ci disse con il figlio maggiore,telefonò per comunicare che sarebbero arrivati la mattina dopo.  Preparammo la cena in silenzio, poi lui mi guardò e disse”ti amo molto, non dico di avere sposato la sorella sbagliata perché sarebbe ingiusto, ma niente e nessuno potranno mai cambiare quello che provo per te. Sono un uomo strano, io stasera parto e vado a casa, domani torno con loro, perché qui con te, so che non riuscirei a trattenermi e sia io che te vogliamo troppo bene a tua sorella per comportarci da traditori. La vita è passata così, a casa siamo rimasti noi tre, tante volte ho manifestato l’intenzione di trasferirmi in una casa mia, di lasciarli da soli, ma tutte le volte mia sorella ne ha fatto una tragedia, ha dichiarato che se me ne fossi andata, per lei quella casa non avrebbe più avuto un senso. A sessant’anni, è stata colpita da un brutto male, prima dell’operazione mi ha chiamata e mi ha detto”ascolta quello che ti dico, se non dovessi farcela a M.  devi pensarci tu, lo devi sposare tu”. “ Ma cosa vai a pensare, cosa dici … tu ce la farai e non dire sciocchezze”. Le ha sorriso e ha detto mi credi cieca, io vi devo solo ringraziare per il rispetto e il bene che mi avete voluto. Per le persone che mi avete dimostrato di essere. L’operazione è andata bene e da quel giorno non abbiamo mai più fatto accenno a quel discorso. Ora, ci siamo trasferiti nella casa al mare lasciando ai ragazzi  la  villetta che nel frattempo è stata ristrutturata e divisa, le famiglie sono diventate due e quelle patriarcali come la nostra non esistono più. Io la sera mi chiudo in camera per vedere la televisione e lasciarli soli e loro cominciano a chiamarmi, dai vieni qui, guardiamo quello che vuoi tu, allora arrivi???

Poi d’estate mio cognato si alza, va in cucina e ci porta il gelato, in inverno la tisana con i biscotti. Tiene sua moglie per mano quando sono loro due sul divano, le vuole bene e molto. Sono quasi cinquant’anni che amo quell’uomo, ogni tanto quando mi preparo per andare in città mi guarda e mi dice, sei sempre la più elegante, una volta mi ha baciato la mano , ma poi si è subito ripreso e ha detto, se tardi chiama, qui si cena alle venti, mica possiamo aspettarti tutta la sera, ma io so che è preoccupato di sapermi alla guida al buio. Però, anche se abbiamo nutrito un sentimento sbagliato, siamo fieri di noi, perché abbiamo fatto del nostro meglio per non essere due orribili  persone, anche se eravamo innamorati.

Romana

ROMANA

“ Mia madre “faceva la vita”, non sapeva chi fosse mio padre perché sono stata un inciampo sul lavoro, nonostante tutto causa una malattia, ha preferito non abortire e farmi nascere, senza neppure immaginarsi quanto sarebbe stata dura per lei avere una figlia. Così a due anni mi ha messa in un istituto condotto da suore, definirlo spartano mi sembra riduttivo,le più fortunate avevano le scarpe , quando quelle con cui sono arrivata mi sono diventate piccole,ai piedi mi hanno messo delle grandi pantofole di feltro,di qualche suora, legate con dello spago. Il cibo era immangiabile, ma soprattutto ,eravamo al nord, si gelava al punto che la notte mi infilavo sotto al materasso. Mia madre non pagava nessuna retta o contributo, così per guadagnarmi pane e istruzione io e altre due nella mia identica situazione, avevo sei anni e non ci arrivavo,stavamo in piedi su degli sgabelli,lavavamo  piatti e pentole, oppure a ginocchioni pulivamo tutti i pavimenti.La mamma venne i primi tempi, poi non la vidi più per anni, mi abituai anche a questo, solo alle parole su di lei delle suore non riuscivo a non fare caso, mi trafiggevano come spade e in cuor mio la difendevo sebbene mi avesse abbandonata. Avevo dieci anni quando un giorno la Madre Superiora mi chiamò,lei era severa ma non cattiva,per dirmi di preparare le mie cose. Le mie cose? Non avevo niente, forse due grembiuli strappati , un paio di calzerotti e due di mutande… ma quando mi presentai con il mio misero fagotto in cortile c’erano la mamma, un signore e una bambina che avrà avuto circa due anni che mi attendevano. Una storia banale, ma accaduta veramente,un “cliente” si era innamorato della mamma, l’aveva tolta dalla strada, sposata ed era nata una bambina, ma lei non si era sentita di negarmi la possibilità di una famiglia , coraggiosamente, aveva confessato al marito di avere un’altra figlia in istituto.  Nessuno sgomento o recriminazione da parte di colui che diventò il mio babbo, mi vennero a prendere e per tutta la vita, lui è stato mio padre e io sua figlia. Sono stata una ragazzina irrequieta, ho dato solo problemi a chi mi ha accolta come una figlia, entravo nei negozi e rubavo, ero considerata una facile,perché andavo con un sacco di ragazzi e dopo anni di litigi, decisi di andarmene di casa per fare quello che volevo, dicendo a mia madre cose orribili e al mio babbo che mi adorava, che tanto lui non era mio padre. Mi trasferii in una grande città del nord e siccome ero anche piuttosto bella, entrai subito nel giro delle feste, dei locali e di tutto quello che di sbagliato poteva esserci. Feci lo stesso lavoro di mio madre, ma in modo diverso, a chiamata non come lei in mezzo alla strada e se la forma era diversa, la sostanza era identica, ero una prostituta. Avevo bei vestiti, vivevo in una casa decente, i miei clienti non erano i camionisti che si fermavano da mia madre, ma industriali e professionisti, però ebbi anche io il mio inciampo sul lavoro , anche io rimasi incinta. Non chiedetemi perché feci nascere quella bambina, oggi ringrazio il cielo di averlo fatto,ma siccome avevo deciso di rinunciare a lei e di darla in affidamento, la partorii e la vidi solo per un attimo, poi la portarono via. Io lo strappo l’ho sentito, ma mi sono detta ce la farà come ce l’ho fatta io, si sopravvive a tutto, meglio con una buona famiglia che con me. Seguirono anni di grande sbando,bevevo,ero diventata la donna di uno che aveva traffici molto loschi, passavamo tutta la notte nei locali, oppure lui mi”prestava”a qualcuno a cui doveva dei favori e io non potevo certamente rifiutare, fin quando una mattina suonarono alla porta e ci arrestarono tutti e due, in realtà io non ero né colpevole né implicata, ma ci vollero tempo, avvocati e denaro per riuscire a dimostrarlo e uscire di prigione. Chi pensò a tutto furono il babbo e la mamma,che non si arresero, che lottarono con me e per me e fu lì che capii che se fossi riuscita a cavarmela, la mia vita doveva cambiare. Avevo quarant’anni, mia figlia doveva averne dodici, ma non sapevo dove era né con chi, con il babbo facemmo tante ricerche, ma la legge era chiara in merito, davanti a noi c’era solo il foglio con la mia firma alla rinuncia della bambina. Fu in quegli anni che conobbi mio marito, un uomo molto buono, molto stimato e benestante, ma anche molto malato, colpito da un rarissimo morbo che gli impediva la mobilità delle ossa e delle giunture, certamente non un matrimonio che feci per amore o per passione, ma anche se sono stata una donna da poco, il sentimento che ho avuto per lui è sempre stato di profondo affetto, totale sincerità e grande rispetto. Con lui ho vissuto per trenta anni, mi ha introdotto nell’alta società come se io fossi una regina, senza vergogna, ma con molta sicurezza e serenità, mi ha ricostruita come donna, mi ha aiutata nel difficile recupero della mia dignità, mentre io l’ho accudito, aiutato e supportato senza risparmiarmi nei momenti di crisi della malattia. Ho avuto tutto da lui, case, vacanze ,gioielli , rispettabilità, amore e la certezza che capisse sempre tutto senza che io parlassi. Avevo tutto, ma non mia figlia, era diventato un chiodo fisso, guardavo le donne che potevano avere la sua età e cercavo d’immaginarmi lei, a volte mi fissavo su una persona e dicevo è lei, è lei, me lo sento, non assomiglia ai genitori, è stata adottata. Fu quando andammo a trascorrere una settimana in una località termale che avvenne tutto. Ora mi fermo, perché certe cose avvengono nei film, ma forse proprio perché la mia vita è stata un film a me questo è accaduto veramente. Un pomeriggio mio marito mi propose di prendere un caffè in una saletta appartata dell’hotel, mi condusse lì e poi si allontanò con la sua andatura traballante con una scusa, al suo posto torno una donna molto carina, poteva avere trentacinque anni, minuta e con gli occhi verdi, anche io ho gli occhi verdi . Mi guardò e mi disse solo “buonasera, io sono sua figlia, se crede possiamo darci del tu e magari anche abbracciarci “…

Per anni mio marito tramite avvocati, investigatori e pagando mezzo mondo l’ha cercata e alla fine l’ha trovata. Mia figlia che sapeva di essere stata adottata , già sposata e con due figli, era felicissima di conoscermi, non mi odiava, non era arrabbiata con me, ma mi ringraziava di avermi affidata a una brava e buona famiglia per darle un’infanzia e una vita serena. Seguirono baci, lacrime e anche un mio lieve malore, un’emozione così forte credo l’abbiano provata in pochi. Ora sono vedova da due anni, mia figlia, i suoi genitori e la sua famiglia, sono diventati la mia famiglia, sono stata accolta da tutti senza giudizi e gelosie, lei chiama mamma la sua madre adottiva e me per nome e io credo sia giusto così. L’altra sera, mentre dopo cena, mi aiutava in cucina mi ha detto”mamma, passami quei piatti”e a me sono caduti tutti. Quel “mamma”è stato troppo anche per una come me che ne ha viste di tutti i colori “ Mi spiace se il racconto è stato lungo, ma una vita così non si può riassumere in poche righe

Una Milanesechic

Foto dal giornale Elle

Scegliere per primi è scegliere due volte


All’istinto bisognerebbe sempre dare retta, poi pensi che andare dove ti porta il cuore, potrebbe essere un vicolo cieco e allora ragioni, metti la razionalità davanti ai sentimenti e credo che questo sia uno dei grandi punti interrogativi dell’uomo, quindi non ho certamente scoperto nulla, mettendo in dubbio la mia razionalità a fronte di una visione più romantica della vita.
Lavoravamo insieme e da subito è scattata quella molla, quella empatia e quella alchimia,che oggi molti chiamano chimica, ma che vorrei precisare che, probabilmente e non meno inconsciamente era molto di più. Il nostro era un lavoro in squadra con altri, filavamo come siluri perché l’intesa era così completa che spesso non avevamo neppure bisogno di parlare, uno sguardo era un sì, un battito di ciglia rappresentava un’incertezza e allora via, si cambiava strategia, si virava per provare qualcosa di diverso, gli altri ci seguivano, lui era un leader, io non ero meno anche se arrivata dopo. Un team, un gruppo molto coeso, nessuno credeva che fra noi non ci fosse nulla, ma non chiedevano, perché io ero fidanzata e lui conviveva con una compagna, però la verità era quella che si vedeva, al lato pratico non c’era nulla, ma nell’aria si percepiva tutto e di più. Per stare bene mi bastava sapere che lui fosse nella stanza accanto, avvertire la scia del suo profumo nel corridoio dell’ufficio, vedere come toccava il mio foulard o come mi appoggiasse il cappotto sulle spalle, il modo con il quale mi portava un caffè mentre lavoravo e poi sbadatamente mi sfiorava i capelli e tutte quelle birre o aperitivi che chiamavamo “meritati premi”,dopo il lavoro. Però mai niente, mai un bacio, un accenno di avance , un discorso che coinvolgesse le nostre reciproche situazioni, solo quella felicità che ci isolava dal mondo e che iniziava alle 8,30 del mattino e finiva prima di cena. Per caso, qualche mese dopo seppi che gli era nato un figlio, lo venne a sapere casualmente una collega della squadra, arrivò con lo champagne e finse di picchiarlo perché non aveva detto nulla a nessuno, poi brindammo tutti, lui era schivo , ritroso,alla fine si abbandonò ai festeggiamenti, senza mai guardarmi in quell’ultima ora in ufficio. Io quella sera decisi la data del matrimonio con il mio fidanzato. Nell’apparenza non cambiò nulla, vennero tutti al matrimonio, c’era anche lui che ballò tutta la sera con mia madre e mia sorella, come uno di famiglia insomma, come uno che si tenesse ai margini ma vicino. Erano finite le birre e gli aperitivi, mio marito spesso veniva a prendermi, lui correva invece a sostituire la compagna per accudire il bambino, lei spesso era di turno la notte in ospedale, ma ciò che esisteva tra noi era lì sospeso come un lampadario in mezzo ad una stanza, solo un terremoto poteva farlo precipitare. Un giorno bussò, dai entra, cos’è questa novità c’è la porta aperta, lui entrò e la chiuse , poi dandomi le spalle e guardando fuori dalla finestra disse “mi mancherà la vista che abbiamo qui dal dodicesimo piano, vediamo tutta Milano, per anni questo spettacolo l’ho dato per scontato, nessuno poteva sottrarmelo, oggi comprendo che ci sono cose , situazioni e sentimenti che ci vengono solo dati in prestito. Tra un mese mi trasferisco a Roma, ho accettato una proposta della presidenza, volevano anche te, ma io ho detto o lei o me e loro hanno scelto così. Lo sai anche tu, uno dei due doveva andarsene, non voglio sentire una parola, né vedere una lacrima, sto già abbastanza male, è la cosa migliore per tutti e due. Ah… gli altri lo sapranno una settimana prima, non dirlo per favore. Dimenticavo …ti amo molto, moltissimo e quando sei arrivata, Donatella, mi aveva detto di essere incinta, da una settimana. Ciao ed uscì.
Così fu, andò via, qualche messaggio vago i primi tempi, per un paio d’anni gli auguri a Natale e per il compleanno, poi più nulla, ma io avevo altri pensieri, nel frattempo erano subentrati quei gravi problemi nel mio matrimonio, che mi costrinsero al divorzio. Ora vivevo sola, una casa carina, un bel lavoro, qualche avventura senza importanza, molti amici e quel ricordo nel cuore, non una sofferenza, solo un posto riservato in via permanente per quella che poteva essere una storia bellissima, ma che non era stata. Fu una sera di maggio, avevo invitato i colleghi per un aperitivo, che una di loro disse, per brindare non ti preoccupare, portiamo noi una sorpresa. E che sorpresa … andai ad aprire e con lei c’era anche lui, che mi salutò come se ci fossimo visti il giorno prima, ma gli occhi e la mani tradivano molta emozione, mentre io ero stordita ed anche incredula. C’era un tramonto che spaccava, i milanesi lo sanno cosa sono quei cieli viola e rossi, dal giardino arrivava un profumo di magnolia che stordiva, lo champagne che aveva portato lui, è sempre questo il tuo preferito aveva detto stappandolo, mi aveva messo un’allegria incontenibile, tutti gli altri era come se non ci fossero e ad un certo punto se ne andarono veramente. La storia vorrebbe un lieto fine, ma ora non posso raccontarvelo, perché non lo so neppure io se sarà veramente lieto o difficile, però fu una notte meravigliosa, alla quale sono seguiti mesi con un’alternanza di giorni bellissimi e altri difficili. Sono passati undici anni dal nostro primo incontro e suo figlio ora ne ha dieci, sono successe tante cose, il mio divorzio, la sua ascesa verso una carriera stellare, i miei avanzamenti soddisfacenti, ma che ci vedono su due piani lavorativi diversi, la sua richiesta di essere ritrasferito a Milano, il distacco dalla sua compagna e la conseguente difficoltà a vedere il figlio, il decidere dove andare a vivere, i weekend che dovrà trascorrere a Roma per non perdere la possibilità di stare accanto al bambino, le richieste economiche continue e sempre più serrate della ex, che ha in mano uno scettro per lui troppo importante. Insomma tante cose complesse e problemi, un amore molto profondo, però nella mia mente c’è sempre una domanda:”anche se a fin di bene perché alla presidenza ha detto “o io o lei “? Ecco, lui ha deciso per me, per la mia carriera e per la mia vita e questa resta una cosa che non mando giù, neppure in nome dell’amore.