ROMANA
“ Mia madre “faceva la vita”, non sapeva chi fosse mio padre perché sono stata un inciampo sul lavoro, nonostante tutto causa una malattia, ha preferito non abortire e farmi nascere, senza neppure immaginarsi quanto sarebbe stata dura per lei avere una figlia. Così a due anni mi ha messa in un istituto condotto da suore, definirlo spartano mi sembra riduttivo,le più fortunate avevano le scarpe , quando quelle con cui sono arrivata mi sono diventate piccole,ai piedi mi hanno messo delle grandi pantofole di feltro,di qualche suora, legate con dello spago. Il cibo era immangiabile, ma soprattutto ,eravamo al nord, si gelava al punto che la notte mi infilavo sotto al materasso. Mia madre non pagava nessuna retta o contributo, così per guadagnarmi pane e istruzione io e altre due nella mia identica situazione, avevo sei anni e non ci arrivavo,stavamo in piedi su degli sgabelli,lavavamo piatti e pentole, oppure a ginocchioni pulivamo tutti i pavimenti.La mamma venne i primi tempi, poi non la vidi più per anni, mi abituai anche a questo, solo alle parole su di lei delle suore non riuscivo a non fare caso, mi trafiggevano come spade e in cuor mio la difendevo sebbene mi avesse abbandonata. Avevo dieci anni quando un giorno la Madre Superiora mi chiamò,lei era severa ma non cattiva,per dirmi di preparare le mie cose. Le mie cose? Non avevo niente, forse due grembiuli strappati , un paio di calzerotti e due di mutande… ma quando mi presentai con il mio misero fagotto in cortile c’erano la mamma, un signore e una bambina che avrà avuto circa due anni che mi attendevano. Una storia banale, ma accaduta veramente,un “cliente” si era innamorato della mamma, l’aveva tolta dalla strada, sposata ed era nata una bambina, ma lei non si era sentita di negarmi la possibilità di una famiglia , coraggiosamente, aveva confessato al marito di avere un’altra figlia in istituto. Nessuno sgomento o recriminazione da parte di colui che diventò il mio babbo, mi vennero a prendere e per tutta la vita, lui è stato mio padre e io sua figlia. Sono stata una ragazzina irrequieta, ho dato solo problemi a chi mi ha accolta come una figlia, entravo nei negozi e rubavo, ero considerata una facile,perché andavo con un sacco di ragazzi e dopo anni di litigi, decisi di andarmene di casa per fare quello che volevo, dicendo a mia madre cose orribili e al mio babbo che mi adorava, che tanto lui non era mio padre. Mi trasferii in una grande città del nord e siccome ero anche piuttosto bella, entrai subito nel giro delle feste, dei locali e di tutto quello che di sbagliato poteva esserci. Feci lo stesso lavoro di mio madre, ma in modo diverso, a chiamata non come lei in mezzo alla strada e se la forma era diversa, la sostanza era identica, ero una prostituta. Avevo bei vestiti, vivevo in una casa decente, i miei clienti non erano i camionisti che si fermavano da mia madre, ma industriali e professionisti, però ebbi anche io il mio inciampo sul lavoro , anche io rimasi incinta. Non chiedetemi perché feci nascere quella bambina, oggi ringrazio il cielo di averlo fatto,ma siccome avevo deciso di rinunciare a lei e di darla in affidamento, la partorii e la vidi solo per un attimo, poi la portarono via. Io lo strappo l’ho sentito, ma mi sono detta ce la farà come ce l’ho fatta io, si sopravvive a tutto, meglio con una buona famiglia che con me. Seguirono anni di grande sbando,bevevo,ero diventata la donna di uno che aveva traffici molto loschi, passavamo tutta la notte nei locali, oppure lui mi”prestava”a qualcuno a cui doveva dei favori e io non potevo certamente rifiutare, fin quando una mattina suonarono alla porta e ci arrestarono tutti e due, in realtà io non ero né colpevole né implicata, ma ci vollero tempo, avvocati e denaro per riuscire a dimostrarlo e uscire di prigione. Chi pensò a tutto furono il babbo e la mamma,che non si arresero, che lottarono con me e per me e fu lì che capii che se fossi riuscita a cavarmela, la mia vita doveva cambiare. Avevo quarant’anni, mia figlia doveva averne dodici, ma non sapevo dove era né con chi, con il babbo facemmo tante ricerche, ma la legge era chiara in merito, davanti a noi c’era solo il foglio con la mia firma alla rinuncia della bambina. Fu in quegli anni che conobbi mio marito, un uomo molto buono, molto stimato e benestante, ma anche molto malato, colpito da un rarissimo morbo che gli impediva la mobilità delle ossa e delle giunture, certamente non un matrimonio che feci per amore o per passione, ma anche se sono stata una donna da poco, il sentimento che ho avuto per lui è sempre stato di profondo affetto, totale sincerità e grande rispetto. Con lui ho vissuto per trenta anni, mi ha introdotto nell’alta società come se io fossi una regina, senza vergogna, ma con molta sicurezza e serenità, mi ha ricostruita come donna, mi ha aiutata nel difficile recupero della mia dignità, mentre io l’ho accudito, aiutato e supportato senza risparmiarmi nei momenti di crisi della malattia. Ho avuto tutto da lui, case, vacanze ,gioielli , rispettabilità, amore e la certezza che capisse sempre tutto senza che io parlassi. Avevo tutto, ma non mia figlia, era diventato un chiodo fisso, guardavo le donne che potevano avere la sua età e cercavo d’immaginarmi lei, a volte mi fissavo su una persona e dicevo è lei, è lei, me lo sento, non assomiglia ai genitori, è stata adottata. Fu quando andammo a trascorrere una settimana in una località termale che avvenne tutto. Ora mi fermo, perché certe cose avvengono nei film, ma forse proprio perché la mia vita è stata un film a me questo è accaduto veramente. Un pomeriggio mio marito mi propose di prendere un caffè in una saletta appartata dell’hotel, mi condusse lì e poi si allontanò con la sua andatura traballante con una scusa, al suo posto torno una donna molto carina, poteva avere trentacinque anni, minuta e con gli occhi verdi, anche io ho gli occhi verdi . Mi guardò e mi disse solo “buonasera, io sono sua figlia, se crede possiamo darci del tu e magari anche abbracciarci “…
Per anni mio marito tramite avvocati, investigatori e pagando mezzo mondo l’ha cercata e alla fine l’ha trovata. Mia figlia che sapeva di essere stata adottata , già sposata e con due figli, era felicissima di conoscermi, non mi odiava, non era arrabbiata con me, ma mi ringraziava di avermi affidata a una brava e buona famiglia per darle un’infanzia e una vita serena. Seguirono baci, lacrime e anche un mio lieve malore, un’emozione così forte credo l’abbiano provata in pochi. Ora sono vedova da due anni, mia figlia, i suoi genitori e la sua famiglia, sono diventati la mia famiglia, sono stata accolta da tutti senza giudizi e gelosie, lei chiama mamma la sua madre adottiva e me per nome e io credo sia giusto così. L’altra sera, mentre dopo cena, mi aiutava in cucina mi ha detto”mamma, passami quei piatti”e a me sono caduti tutti. Quel “mamma”è stato troppo anche per una come me che ne ha viste di tutti i colori “ Mi spiace se il racconto è stato lungo, ma una vita così non si può riassumere in poche righe
Una Milanesechic

Foto dal giornale Elle